Il Giappone rialza la testa il futuro è un ciliegio in fiore

Devastato dallo tsunami il Paese ritrova la volontà di vivere.

 

Una donna passeggia nel parco Ueno, a Tokyo, nonostante la tragedia dell'11 marzo, i giapponesi non hanno rinunciato a celebrare la festa annuale. Anzi, proprio nella caducità dei fiori vedono rispecchiata la caducità della vita e trovano un senso alle migliaia di morti e dispersi

È la stagione della fioritura dei ciliegi, a Tokyo, un tempo in cui tradizionalmente il Giappone celebra la natura effimera, transitoria, della vita, che da secoli trova il suo simbolo nel breve, meraviglioso apparire e sparire di questi delicati petali rosa pallido. La fioritura dei ciliegi è tornata anche quest’anno, che non è un anno normale, dato il terribile disastro iniziato l’11 marzo con il terremoto e l’onda dello tsunami e continuato con il dramma nucleare, disastro che il primo ministro giapponese Naoto Kan ha giustamente definito «la peggior crisi del Giappone dal 1945».

Questo dunque non è il momento giusto per festeggiare. Un numero ancora imprecisato di giapponesi è morto poche settimane fa, e calcolando i dispersi è probabile che alla fine si arriverà a 25-35 mila vittime, oltre a centinaia di chilometri di coste polverizzate nel Nord-Est del Paese. L’idea del sakura , la caducità incarnata dalla fioritura dei ciliegi, ancora una volta era stata confermata dalla natura. E non è finita: gli ingegneri ancora lottano per stabilizzare l’impianto nucleare di Fukushima, dove lo tsunami ha disattivato i generatori di uno dei sei reattori, causando il loro surriscaldamento, con conseguenze potenzialmente esplosive.

Non sorprende perciò che in molti dei parchi e dei templi di Tokyo, dove di solito si festeggia la fioritura, le autorità abbiano collocato dei cartelli che esortano alla moderazione, e alcuni politici abbiano fatto eco: hanami , le feste inondate di birra e sake che si tengono all’inizio di aprile sotto i rami degli alberi, sarebbero inappropriate. Eppure, come ho visto coi miei occhi nei dieci giorni che ho appena trascorso in Giappone, questo si è rivelato uno dei rari casi di disobbedienza da parte della popolazione. Come negli anni scorsi i boschetti di ciliegi sono stati affollatissimi, con la gente in fila per fotografare i fiori più belli e i gruppi di amici e famigliari seduti a terra la sera, sui teli di plastica, a mangiare e bere e brindare continuamente alla salute gli uni degli altri, ormai completamente ubriachi. Perché è una nazione decisa a tornare alla normalità il più presto possibile. Dopo tutto, la stagione dell’ hanami è breve: rinviare significa aspettare un anno intero. Nelle prime due settimane successive allo tsunami, bar e ristoranti a Tokyo erano spesso vuoti. Adesso si stanno di nuovo riempiendo. Le strade restano più buie del solito, perché la scarsità di corrente costringe a tenere basse le luci e chiudere prima molti uffici. Si possono ancora sentire notizie di scaffali nei supermercati svuotati dei generi di base, come l’acqua in bottiglia o la carta igienica, ma gli acquisti indotti dal panico sono per lo più finiti. Le radiazioni non sono più una paura seria. Lo choc da 11 marzo è cessato, grazie a Dio.

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