Koshu Hirao, monaca buddista al servizio dei senzatetto

Scacciata dal monastero perché impegnata contro l’energia nucleare, ha deciso di accogliere malati, anziani, senzatetto, rifugiati, persone rifiutate da tutti. La testimonianza di una compassione fattiva, nel Giappone del dopo-tsunami.


Tokyo (AsiaNews) - Koshu Hirao (58 anni) non è una monaca buddista comune. Anzi, non è nemmeno una monaca, anche se porta la testa rasata e il tipico vestito delle bonze. Ella è divenuta famosa per il suo servizio ai rifiutati.

Il suo interesse al buddismo risale al tempo delle elementari quando leggendo in un libro di storia la vicenda del monaco itinerante Ippen (1234-1289), fondatore della setta Jishu, è stata affascinata dalla sua attività missionaria.

A 26 anni ha deciso di diventare monaca nel tempio Jishu, dove ha incontrato il prete buddista Ryogen Takada, che prima della guerra (1940-45) era stato imprigionato per aver distribuito volantini contro la guerra.

Sotto la sua guida, Hirao si è coinvolta nel movimento di protesta contro l’energia nucleare che ha determinato il suo allontanamento dalla setta Jishu . Ciononostante ella ha continuato a seguire gli insegnamenti del “jishu seikai”, una raccolta dei sermoni di Ippen, perche’, ha detto, “vi cerco ammonimenti contro me stessa. Quando ci impegnamo nel lavoro sociale tendiamo a indulgere nell’autocompiacimento”. 

Pur non appartenendo ad alcun setta, continua a vivere e comportarsi come una fervente monaca , anche esteriormente, con la testa rasata e la tunica buddista.

La monaca, poco ortodossa, ha trovato la sua missione nell’aiutare i bisognosi, procurare ricoveri ai senzatetto e ai profughi e provvedere assistenza a quanti sono colpiti da gravi malattie. Le attività di Hirao, che durano da anni, sono note alla gente comune e hanno contribuito a rafforzare la consapevolezza dell’importanza dei legami sociali, specialmente dopo il disastro del terremoto e dello tsunami dell’ 11 marzo nel nord est- del Giappone.

Come parte delle sue attività, Hirao ha creato la Street Workers Co-op Potalaka , una organizzazione non-profit a sostegno dei senzatetto. “Potalaka” e’ una parola dell’antica lingua dravidica (India) che significa “utopia”.

All’inizio di gennaio, nel tempio buddista Myoshi (prefettura di Ibaraki), Hirao ha partecipato allo “shijukunichi” (memoriale funebre nel 49mo giorno della morte) per un uomo morto di cancro all’eta’ di 61 anni. Questi, nativo dell’isola dell’Hokkaido, dopo essersi spostato da un ricovero all’altro, ha trascorso gli ultimi tre mesi della sua vita in un’ istituzione del gruppo Potalaka prima di essere ricoverato in ospedale. Pochi giorni prima di morire ha espresso il desiderio di ritornare a Potalaka, dove è spirato in pace il mattino seguente. “Da parte mia – ha detto Hirao - volevo dagli (l’ultimo) saluto in modo appropriato. Potalaka e’ una casa per coloro che non hanno casa, e il personale è la loro famiglia.”

Nel Potalaka di Tokyo, un ex magazzino di materiale edile trasformato in ricovero, vivono 18 uomini molto anziani, e poco distante c’è un’altra struttura riservata alle donne. Alcuni soffrono per malattie serie come la demenza senile o la schizofrenia. Poichè Potalaka accetta persone che sono rifiutate altrove, a Hirao giunge un flusso continuo di domande di ammissione. Shoko Tokumoto, una delle responsabili del ricovero, ha espresso la sua ammirazione per la volontà di ferro di Hirao nella sua missione di assistenza come fervente buddista.

Per Hirao “sentire compassione per i bisognosi non è sufficiente”. Ricordando gli insegnamenti dell’antico monaco Ippen, continua: “Dobbiamo stare con loro, lamentarci con loro, piangere con loro”. di Pino Cazzaniga

Commenti