I SEGRETI DELLE GEISHA...

L'occupazione militare americana, le origini comuni, le fantasie occidentali di una società endemicamente maschilista che dipingono l'oriente come un luogo esotico e misterioso e desiderabile anche per i mille piaceri che una geisha può dare a un uomo, e il gioco è fatto: l'equivoco che porta all'equivalenza fra geishe e prostitute diventa subito luogo comune e poi verità assodata.
Eppure le geishe non sono prostitute, anche se per alcuni somiglierebbero solamente ad escort d'alto bordo.I motivi dell'equivoco sono molteplici, come dicevamo. A cominciare dal fatto che le origini della professione in Giappone sono senza dubbio comuni a quelle della prostituzione "legalizzata" e che storicamente i quartieri in cui si sviluppavano entrambe le attività erano gli stessi.

Il termine geisha è formato da due ideogrammi che significano “arte” e “persona”. Quini la traduzione letterale è più o meno artista, o artigiana, opersona che pratica l'arte. E in effetti le geishe lavorano come hostess, come intrattenitrici, e le loro abilità e peculiarità consistono nel padroneggiare una serie di arti tradizionali giapponesi: dalla musica classica alla danza al gioco.

Ma come inizia questa tradizione? La storia tramanda l'esistenza di intrattenitrici femminili in Giappone fin dal 600. Erano le saburuko, che spesso concedevano anche favori sessuali a pagamento. Tuttavia, quelle che provenivano da famiglie con più mezzi, che erano state in grado di garantire alle figlie un'educazione migliore, si occupavano di intrattenere le classi sociali più alte senza entrare in intimità con gli "intrattenuti". Il "culto" della geisha comincia a svilupparsi quando la corte imperiale si sposta a Kyoto nel 794 e diviene la sede di una specie di gruppo elitario ossessionato dalla bellezza. In questo periodo il ruolo delle geishe e quello delle cortigiane è ancora mescolato. Anche perché nella cultura giapponese l'uomo non doveva fedeltà alla propria donna e cercava, dunque, la morigeratezza e la sottomissione nella moglie, la passione e l'estro nellasaburuko.



Quasi un millennio dopo, nel 1617, l'Impero fece sì che nei quartieri chiamati yūkaku (in pratica, quartieri a luci rosse ante litteram) fosse legale la prostituzione. Al loro interno, le donne più “potenti” erano le Oiran, attrici prostitute. La prima di queste a farsi chiamare geisha fu una prostituta di Fukagawa. Era il 1750. Da allora, fra il 1760 e il 1770 la professione si diffuse e molte cominciarono a lavorare come intrattenitrici e basta, abbandonando nettamente il sesso mercenarioE' nell'ottocento che la geisha diventa una professione di tutto rispetto: alcune di esse avevano ancora rapporti sessuali con i loro clienti, ma molte altre si limitavano a praticare le arti in cui eccellevano; vivevano tutte insieme, in una rigida organizzazione gerarchica che si strutturava all'interno di un microcosmo fortemente matriarcale. E il loro stile cominciò a essere imitato anche dalle donne altolocate. Sia chiaro: non è che fosse sempre una scelta libera e consapevole, quella delle geishe. Spesso le ragazze venivano vendute alle case matriarcali che le formavano fin dalla più tenera età. La formazione era molto rigida. All'inizio, le apprendiste potevano solo osservare la loro onee-san (la sorella anziana, una sorta di guida, di mentore) e rimanevano relegate nel ruolo della maiko, in una fase di studio che si protraeva a lungo nel tempo. Avvolte nei loro kimonocolorati, sarebbero diventate, lentamente, uno dei più importanti motivi di interesse non solo per i giapponesi ma anche per il turismo in Giappone.

Insomma, il substrato perché si generasse definitivamente l'equivoco era fertile. E durante l'occupazione americana, il fatto che i militari si riferissero alle prostitute chiamandole geisha girlsha fatto il resto, sovrapponendo in maniera indelebile, nell'immaginario occidentale, l'immagine della geisha a quella della donna che concede anche favori sessuali a pagamento.
Il mondo delle geishe appartiene senz'altro ad una cultura che non ci è familiare ed è, storicamente, estremamente chiuso: anche questo, insieme al fatto che alle geishe professioniste è richiesto di non aver legami sentimentali – con nessun uomo, nemmeno con i clienti che spesso si infatuavano irrimediabilmente delle loro intrattenitrici –, ha contribuito a confondere e sfumare i contorni di questa figura, indubbiamente controversa. La via d'accesso più celebre, per l'occidente – e probabilmente anche per l'oriente – che si è aperta per provare a capire questo mondo è stata offerta da Mineko Iwasaki, una delle donne intervistate da Arthur Golden per scrivere Memorie di una Geisha (un libro del 1997).

Iwasaki era una delle geishe più famose negli anni '70. In seguito rivelò di non aver mai rilasciato interviste a Golden e di avergli fatto semplicemente delle confidenze e gli fece causa per il parallelismo fra la sua vita e quella della protagonista del libro: ottenne un accordo in tribunale. Poi scrisse la sua autobiografia, Geisha of Gihon nel 2002. Iwasaki, che eccelleva soprattutto nella danza, si era esibita per moltissime celebrità: anche per il Principe Carlo e la Regina Elisabetta II. E si era ritirata all'apice della propria carriera, all'età di soli 29 anni.

Oggi le geishe esistono ancora e vivono ancora insieme, in case tutte al femminile, le okiya, nei quartieri hanamaci: ma non vengono più vendute e non iniziano la loro educazione da bambine. Vanno a scuola e poi, eventualmente, decidono di intraprendere questa carriera da adulte: studiano musica e imparano a suonare strumenti tradizionali, si dedicano a giochi, canzoni, all'arte della calligrafia, alla danza, alla cerimonia del te, alla letteratura e alla poesia.

Se negli anni '20 del secolo scorso se ne contavano circa 80mila in attività, oggi probabilmente il loro numero non supera le duemila unità: la loro attività è andata perdendo di interesse nel tempo, e resta legata al turismo o ai party (ochaya) per i quali vengono ingaggiate.
Anche alcune straniere sono diventate geishe, di recente: si tratta di un'apertura notevole, visto che il ruolo era categoricamente riservato alle donne giapponesi (al punto che ci fu enorme polemica per il fatto che le attrici scelte per il film Memorie di una geisha fossero sì orientali ma non nipponiche).

Ma è evidente che il mantenimento della tradizione sia sempre più difficile e paghi, come ovvio, il peccato originale del fraintendimento, le origini umili, la necessità di prendere le distanze in maniera netta e senza equivoci dall'umiliazione della donna e dalla parte più “feudale” della tradizione stessa.
(FONTE Alberto P.)

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